Strano a dirsi, ma fino a qualche anno fa, buona parte delle persone che scrivono testi non si ponevano minimamente il problema di usare un linguaggio inclusivo. Questo non (sempre) perché mossi da pregiudizi, ma semplicemente perché nessuno aveva sollevato la questione, se non marginalmente.

Era scontato scrivere “bambini” riferendosi a tutta l’infanzia, “avvocato” parlando di un professionista anche se donna e così via. Anche noi donne eravamo semplicemente abituate a fare così, anche se le prime a essere escluse dall’uso di questo tipo di termini eravamo proprio noi. Eppure, proprio chi lavora in compagnia delle parole, sa bene quanto queste possano ferire o curare, accendere o oscurare, quanto possano farsi veicolo di cultura e riflettere un determinato momento storico. Per fortuna però, a illuminarci sulla necessità di manipolarle con cura ci ha pensato la lingua stessa, strumento vivo e in continua evoluzione, che oggi più che mai chiede di mettere al centro il linguaggio inclusivo.

Tradurre però le idee in strumenti pratici non è sempre così automatico. Basti pensare che persino Google Traduttore ha dovuto rivedere più volte il suo algoritmo per fornire traduzioni più inclusive. Serve, come vedremo, soprattutto un allenamento della mente, pronti a porsi il problema ogni qualvolta si sta per comunicare, trasformando poco alla volta un’abitudine in un modo di guardare al mondo. L’esercizio sulla lingua, parlata o scritta, ci consentirà di avere siti web, blog, applicazioni, articoli, saggistica, campagne social, giochi… sempre più all’insegna dell’inclusività.

Cosa si intende per linguaggio inclusivo?

Fare uso di un linguaggio inclusivo significa non impiegare termini, frasi, immagini che portano avanti discriminazioni o stereotipi verso specifici gruppi di persone in base al sesso o identità di genere, orientamento sessuale, etnia, aspetto fisico, stato sociale, religione, ecc. Il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare le linee guida multilingue sulla neutralità di genere nel linguaggio.

Un aiuto pratico per chi vuole scrivere in maniera inclusiva

Chi è alla ricerca di un aiuto pratico per far diventare il proprio linguaggio inclusivo può consultare il progetto Parlare civile, volto a fornire un aiuto a giornalisti e comunicatori per trattare con linguaggio corretto temi sensibili e a rischio di discriminazione. È il primo in Italia che affronta in una cornice unica i seguenti argomenti: disabilità, genere e orientamento sessuale, immigrazione, povertà ed emarginazione, prostituzione e tratta, religioni, Rom e Sinti, salute mentale

Un altro percorso da approfondire è quello relativo alla schwa“ǝ”, al singolare, e la schwa lunga“з”, al plurale, una delle proposte per rendere il nostro linguaggio sempre più inclusivo. Con l’uso della schwa ogni parola che si declini al maschile e al femminile – articoli e preposizioni articolate, pronomi, sostantivi, aggettivi, participi passati – può essere così usata anche in modo non connotato per genere.

Tra teoria e pratica

Chi si occupa di testi dovrà costantemente aggiustare la rotta, il linguaggio cambia e si evolve. Avere i fari puntati sulla società ci aiuterà a diventare sempre più inclusivi, non solo nel linguaggio ma nella comunicazione in generale. Resta però il problema dell’equilibrio per chi cerca di creare testi leggibili e rapidi.

Molte soluzioni grafiche, dall’impiego della barra amico/a; alla finale sostituita da un asterisco car*; possono ridurre la leggibilità. Sarà necessario quindi dosare l’uso di questi segni grafici, cercando soluzioni alternative. Per convenzione il maschile può agire da “neutro”, ovviamente lasciando fuori il genere femminile o non binario.

Non sempre nelle lingue caratterizzate dal genere grammaticale, come per esempio la nostra, è semplice scrivere in maniera chiara senza incappare nella non inclusività. A volte basta semplicemente girare la frase, cercare sinonimi, cambiare soggetto alla frase o usare delle perifrasi per evitare in chi ascolta la sgradevole sensazione di non far parte del gruppo.

Un testo ottimizzato per la SEO è un testo scritto in maniera chiara, inclusiva, con l’uso misurato delle parole chiave, con contenuti organizzati in maniera coerente, con tag title informativi, accattivanti e equilibrato uso di anchor link. Questo vale anche per il linguaggio inclusivo, magari cercando prima di partire le parole chiave più utili.

Se stiamo scrivendo un form di iscrizione a un evento, possiamo usare “Grazie per aver completato l’iscrizione” al posto di “Grazie per esserti registrata/o; se stiamo cercando personale possiamo scrivere “Ti occupi di traduzioni” invece di “sei un traduttore”.

Nel caso della predisposizione di test, form, moduli di iscrizione evitare se possibile di inserire il genere come dettaglio da dichiarare o ricordare sempre che le opzioni devono essere certamente più di due.

Possiamo poi usare sostantivi generici per indicare gruppi di persone, come personale medico, invece di dottori e dottoresse, personale docente, invece di professori e professoresse, cast invece di attori e attrici.

La soluzione migliore andrà sempre cercata tenendo conto del grado di chiarezza e del contesto, ma con un po’ di esercizio e iniziando a porsi la domanda in maniera regolare, questo tipo di “errori di inclusività” potrà essere agevolmente superato. Sperando che oltre che nelle parole si inizi a ragionarci nella vita quotidiana.