Ultimo aggiornamento 10 Marzo 2020 di Alessandra

La comunicazione aziendale è una delle componenti essenziali per l’immagine: ogni azienda dovrebbe avere una gerarchia, ruoli ben definiti e “appellativi” precisi. Ma quanto conta per la comunicazione verso l’esterno? Il linguaggio, anche quello verbale, fa parte dell’immagine che acquisisce l’azienda sul mercato ed è fondamentale che tutto sia allineato.Ecco perciò che in un’azienda giovane e dinamica, anche se con una gerarchia ben definita, tutti si definiscono “colleghi”, mentre in aziende più strutturate e formali si può sentir parlare di “presidenti/esse“, “direttori/trici“, “segretari/e” e “collaboratori/trici“.

L’utilizzo di appellativi per identificare una persona che lavora con sé, può sembrare arcaico o svalutante (soprattutto se serve a “definire” un sottoposto) ma, spesso, per evitare di farlo, ci si ritrova a sminuire ancor più la persona.

Come? Di seguito analizziamo due situazioni tipo, a cui abbiamo personalmente assistito.

All’ingresso di un rinomato hotel, arriva un cliente che necessita di alcune informazioni, il direttore propone di farsi carico di queste richieste. Al termine della conversazione, il cliente è convinto e vuole soggiornare presso la struttura. Alla domanda “Come posso prenotare?”, il direttore risponde: “Guardi, vada a chiedere a una delle signorine laggiù” (indicando la reception).

Di certo non è così grave definire “signorine” le proprie collaboratrici, ma se già era irriverente ai tempi della celebre Signorina Silvani, oggi diventa fuori luogo per più motivi. In primo luogo “signorina” è un termine che culturalmente ha acquisito un’accezione negativa, tanto che difficilmente lo si usa anche colloquialmente, inoltre questo termine, in un ambiente professionale, fa perdere credibilità e professionalità alla persona a cui è riservato.

Sebbene quel direttore l’abbia fatto con leggerezza e senza voler innescare un’opinione negativa, il cliente potrebbe aver percepito il termine, non tanto come mancanza di rispetto da parte del superiore, ma più come mancanza di professionalità e capacità decisionale da parte delle addette alla reception. Questo, anche a livello di efficientamento aziendale, porterà quel cliente a voler confrontarsi sempre e solo con il direttore, credendo che le “signorine” non siano all’altezza del suo bisogno.

Se per il direttore in questione definirle “colleghe della reception” fosse stato troppo e avesse voluto mantenere un distacco professionale avrebbe potuto chiamarle semplicemente “addette alla reception” o “receptionist“.

Altra situazione cui ci è più volte capitato di assistere è quella in cui un imprenditore, proprietario di una piccola azienda con un organico di persone giovani e dinamiche, proprio a sottolineare l’aspetto anagrafico e “frizzante” della sua struttura, parlando con clienti non perde l’occasione di dire: “ti faccio chiamare da uno dei miei ragazzi” o “di questa cosa se ne occuperà Tizia, una delle ragazze che lavora con me”.

Anche in questo caso, l’interlocutore, anziché cogliere il valore positivo del termine, potrebbe intendere, non solo una mancanza di stima da parte del “capo” verso i giovani collaboratori, ma anche una scarsa professionalità degli stessi, che essendo “ragazzi” possono essere non adeguatamente formati e in grado di assolvere ai compiti assegnati.

In questo caso, la comunicazione verso l’esterno potrebbe risentirne e trasmettere un’immagine arcaica che l’azienda dà di sé, quella di una struttura non solo gerarchica, ma anche “vecchia nell’approccio con i lavoratori, sempre uno scalino sotto il “capo”.

Anche in questo caso, sarebbe bastato utilizzare termini come “collaboratori” o, per essere proprio giovani e frizzanti, “colleghi“, che avrebbe dato l’impressione di una struttura molto dinamica e di stile anglosassone, dove tutti sono sullo stesso piano.

Questi episodi possono sembrare sciocchi e poco significativi, ma ricordiamo che non sono solo sede o immagine grafica coordinata a “comunicare” l’azienda, bensì questi tratti si accompagnano ad atteggiamenti e modi.

Questo vale per un imprenditore che non utilizza termini appropriati, ma anche per un lavoratore che, al di fuori dell’azienda, non qualifica i propri datori di lavoro e non fa buona pubblicità… magari perché frustrato nel sentirsi chiamare “ragazzo”.

Infatti, oltre che la comunicazione verso l’esterno, la mancanza di cura della terminologia e dei ruoli aziendali, mina il benessere interno alla struttura rendendo necessario uno sforzo del management per calibrare e gestire malumori, impiegando tempo che potrebbe essere utilizzato per questioni ben più necessarie allo sviluppo della struttura.

Ogni azienda deve necessariamente definire come porsi, anche sotto questo aspetto della comunicazione e, anche se l’evoluzione culturale ci ha portati oltre la Signorina Silvani, non è detto che da qualche parte un imprenditore non abbia deciso di chiamare qualche collaboratore “Ragioniere”, in onore del ben più famoso rappresentante della categoria Fantozzi.