Ultimo aggiornamento 10 Marzo 2020 di Alessandra
William Shakespeare diceva “Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso profumo soave” ma, fortunatamente, il bardo si occupava di teatro e non di branding. Il processo di riconoscimento di un brand, infatti, parte proprio dal naming dello stesso e di quanto può rimanere impresso nella mente degli utenti.
Dare un nome ad un prodotto o ad una azienda non è comunque semplice, è un processo delicato che prende il nome di naming e che va fatto tenendo conto di molti fattori. La riflessione parte dalla campagna radiofonica 2017 di Schweppes che gioca con la difficoltà di pronuncia e di riproduzione del proprio nome, ponendo l’attenzione sul prodotto più che sul brand. Ovvio che un colosso con un marchio con oltre 200 anni di storia può permettersi una campagna di questo genere ma è ben diverso per una piccola o media realtà “sbagliare” nome compromettendo le possibilità di successo o notorietà.
Ecco allora 5 consigli utili per un percorso di naming adeguato:
1. Analisi
Prima di qualsiasi altra cosa, è importante soffermarsi su quello che è il proprio business, il proprio mercato di riferimento e il proprio contesto, cogliere e raccogliere quelle che possono essere le sensazioni e i valori che si vogliono comunicare, studiare i competitor per posizionarsi adeguatamente.
2. L’approccio
Scegliere se si vuole un nome descrittivo, suggestivo o arbitrario. La differenza?
– Descrittivo è nome semplice, didascalico ed efficace che spiega cosa c’è dietro a quel nome. Ne sono esempi Volkswagen o BP – British Petroleum, la prima per il mercato d’origine già dice di essere automobile, così come la seconda non cela la correlazione con il proprio core business;
– Suggestivo è quel nome che rimanda al prodotto o al brand in maniera originale. Possono esserne esempio Oransoda o Fiesta (la merendina) così come i alcuni nomi di auto come Capture o Renegade;
– Arbitrario è il nome di fantasia, puramente evocativi ed emozionanti senza necessari collegamenti all’azienda o al prodotto. A volte sono giochi di assonanza o di mashup di parole. Qui gli esempi si sprecano: Coca-Cola, Wind, Apple, Nutella…
3. Il suono
Riflettere sul suono che deve avere la pronuncia del nome. Bisogna tenere conto che alcune lettere sono più maschili ed altre più femminili: P, T e K sono definite mascoline, L, M e N femminili. È importante che il nostro pubblico, ma non solo, sappia pronunciare facilmente il nostro nome, con la consapevolezza che anche il suono evoca emozioni o ricordi.
4. Valutare la prospettiva
Se si opera in un mercato globale, bisogna capire come deve essere percepito, pronunciato e scritto il nome in tutte le culture e lingue in cui si propone. Un nome anglofono non va sempre bene così come un nome italiano può essere storpiato o scritto scorrettamente da un utente straniero. Ma la prospettiva deve essere anche temporale: quale valore assumerà il mio brand tra 10, 20, 30 anni? È fondamentale che il proprio nome non sia solo rispondente ad un trend del momento ma sappia insinuarsi adeguatamente per durare nel tempo.
5. Testare
Come ogni azione di comunicazione, per essere efficace deve assecondare gusti e bisogni del target/utente pertanto è consigliabile testarne l’efficacia su un piccolo pubblico di riferimento, che siano amici, parenti o sconosciuti incontrati per caso sapranno essere un grande aiuto per conoscere la reale percezione del nome che si è deciso. Ma prima di lanciare sul mercato un nuovo brand bisogna essere convinti e sicuri anche del nome. In un mondo altamente connesso uno degli errori più gravi potrebbe essere quello di effettuare un rebrand profondo, cambiando il nome, compromettendo notorietà e patrimonio di contatti fondamentali in ogni rapporto commerciale.
Due extra tips:
– fare attenzione ad eventuali acronimi/sigle che possono risultare meno efficaci di un bel nome;
– registrare il proprio nome, depositarlo e salvaguardarlo da azioni fraudolente (per questo può tornare utile la guida dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi).
Ovviamente bisogna sempre tener conto di quella che è la propria immagine e su quella agire, valorizzandola anche con il percorso di naming. Per alcuni l’azione di naming porterà semplicemente all’utilizzo del proprio cognome (come hanno fatto Ferrari, Hewlett-Packard o McDonald) per altri sarà un percorso più impegnativo e articolato. Inoltre, come già visto nei nostri articoli Logo, brand e marchio: sinonimi o contrari? e 10 punti per progettare un marchio: i consigli del grafico una delle componenti fondamentali è la grafica con la quale presentiamo il nostro nome e il nostro brand, perciò è importante agire in maniera integrata per ottimizzare l’azione e aumentare le possibilità di successo.
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